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Fase 2: formazione, informazione e sicurezza

Oltre agli inevitabili disagi della pandemia, ci sono una serie di cambiamenti che è possibile sfruttare per superare al meglio questo periodo.

Una delle novità cui ci ha posto di fronte questa emergenza globalizzata è la necessità di cambiare prospettivaAll’inizio della diffusione del COVID-19 tutti noi abbiamo sottovalutato l’impatto e la profondità del fenomeno. Ora, chi è rimasto fermo, e non ha provato a cambiare prospettiva, è stato travolto dall’onda. O rischia di esserlo a breve. A mio avviso, questa è stata una delle cose buone che ci ha portato “mister Coronavirus”.
Proviamo a fare una breve analisi.

DATI ISTAT SUL LAVORO PRIMA E DOPO IL LOCK-DOWN

In occasione dell’inizio della cosiddetta fase 2, l’ISTAT ha comunicato che fino al 3 maggio, il lock-down ha interessato il 75% dei lavoratori. A partire dal 4 maggio, invece, il ritorno al lavoro ha riguardato più o meno la metà del numero complessivo.
Questo significa che, fino all’emanazione di nuove disposizioni, il 50% del tessuto produttivo Italiano è a casa e non può tornare al lavoro, perlomeno non nel senso in cui veniva interpretato prima del Covid-19. 

Una serie di stime indicano che, almeno fino a quando non sarà disponibile una vaccinazione di massa, dovremo convivere con tale situazione per ancora molto tempo. Chi ha potuto, si è organizzato, sfruttando l’occasione per cogliere l’opportunità di favorire processi di smart o remote working (sulle differenze ne abbiamo parlato qui); mentre per alcune categorie di lavoratori questo non è stato possibile.

dati istat sul lavoro prima e dopo il lock-down

SICUREZZA SUL LAVORO E TENUTA DEI TEAM: DUE MINACCE INCOMBENTI

Il lungo periodo di distanziamento sociale (e isolamento fisico) e l’agognato rientro al lavoro hanno portato – e porteranno – a una serie di problematiche. In base al punto di vista che adottiamo, queste possono sembrare molto lontane oppure sovrapposte, almeno in parte. Infatti, da un lato ci sarà una grande attenzione a tutto il tema della compliance con le normative di sicurezza sul lavoro, che devono prevedere un rischio contagio e i conseguenti adeguamenti organizzativi e di prevenzione e protezione. Dall’altro lato, c’è – o  dovrebbe esserci – una preoccupazione rispetto alla tenuta dei team di lavoro e dell’organizzazione in generale. 

I cambiamenti radicali che tutti abbiamo subito, l’incertezza sul futuro e l’alternanza di abitudini che devono essere continuamente rielaborate, sono una fonte di stress primaria che impatta sia i singoli, sia l’azienda intesa come comunità. I rapporti di fiducia, i ruoli, le relazioni tra le persone e la condivisione degli obiettivi continuano a essere stravolti e non si prevedono elementi di stabilità a breve.

Gli imprenditori e/o i manager si trovano ora a dover gestire tutto questo, con meno risorse di prima, pena la possibile sospensione o chiusura dell’attività. Non importa se per il mancato rispetto delle norme o perché il team si sgretolerà, a causa di pressioni cui non era preparato.

RISCHIO CONTAGIO E SICUREZZA SUL LAVORO: UNA NUOVA SENSIBILITÀ

Invece, tra gli effetti collaterali positivi che possiamo imputare all’era del COVID-19 c’è n’è uno molto intrigante.
Uno dei risultati più ricercati in qualsiasi percorso di formazione personale e professionale, è la capacità di cambiare prospettiva, di vedere le cose da punti di vista differenti. In questo, possiamo dire che l’emergenza Coronavirus ci ha dato una grande mano.

Spostiamoci nel mondo della formazione obbligatoriaA parte pochi virtuosi casi, la formazione riguardo la sicurezza sul lavoro è di una noia infinita e viene vissuta come un inutile obbligo. Lo Stato l’ha resa obbligatoria perché altrimenti nessuno l’avrebbe fatta. Le aziende fanno il minimo indispensabile per cercare di non essere fuori legge, trovando le soluzioni di certificazione meno costose e che possibilmente non vadano ad impattare più di tanto sull’organizzazione delle attività. 

Gli stessi lavoratori – i beneficiari di questo processo – vedono le ore di formazione obbligatoria come fumo negli occhi. Il risultato? Il numero dei “caduti sul lavoro” si mantiene stabile negli anni.
Tuttavia, tra i lasciti sensati firmati COVID-19 ci sarà – inevitabilmente – una nuova sensibilità relativa al concetto di sicurezza, che deve giocoforza comprendere il rischio contagio. Tutto questo parlare di Coronavirus ci ha spinto a rivalutare la tutela personale da un punto di vista totalmente nuovo.

Tutto questo è un bene? Dipende. Se saremo in grado di sfruttare questo disastro come leva per ridurre i rischi nell’ambiente di lavoro, non solo sotto il profilo documentale e non solo quelli relativi al contagio, allora sarà servito a qualcosa.
Proviamo a vedere come.

un’opportunità per fare formazione esperienziale

UN’OPPORTUNITÀ PER FARE FORMAZIONE ESPERIENZIALE

Nell’adeguamento del processo di valutazione dei rischi, bisognerà fare attenzione a quantificare e ridurre non solo i rischi “tecnici” inerenti al lavoro e al contagio, ma anche tutti i rischi derivanti dallo stress lavoro-correlato. Tale tipologia di rischio è oggi enormemente amplificata principalmente da tre fattori legati al Coronavirus:

  • disagio di isolamento sociale da lock-down
  • disagio da rientro (nuovi ritmi, nuovi turni, distanziamento sociale, ulteriore cambio di abitudine, ecc.)
  • paura (di perdere il lavoro, da contagio, ecc.)

Senza addentrarci nel merito dei 3 punti, proviamo a immaginare questi aspetti come un’opportunità per ricostruire un rapporto e una relazione con i propri dipendenti e collaboratori.
Questo potrebbe avere un effetto dirompente non solo sulla motivazione e sulla tenuta dell’organizzazione e dei team di lavoro, ma andrebbe anche in direzione di un completo adeguamento alle norme.
Come? L’informazione, la formazione e l’addestramento specifico dei lavoratori, oltre che obbligatorio, può essere un’occasione per aiutare e supportare i lavoratori e al tempo stesso per avere dei lavoratori più motivati.

La formazione – obbligatoria o meno – è formazione. E può essere divertente, coinvolgente ed emozionante. Anche quella sulla sicurezza. Anzi, a maggior ragione quella sulla sicurezza. La formazione non è – e non deve essere – solo un webinar o un noioso corso in aula con slide piene di bullet point.
L’informazione può essere qualcosa di più dinamico, coinvolgente e creativo di un totem che vi ricorda di lavare le mani e di tossire nell’interno gomito. 

Oggi, l’interesse delle persone ad apprendere e capire è più elevato che mai. Proviamo a non uccidere questa motivazione.
Occupandomi di formazione da più di 20 anni, ho sempre pensato che il coinvolgimento emotivo delle persone che apprendono è indispensabile sia per l’apprendimento del concetto in sé, sia per la modifica di un comportamento al fine di adottarne uno più virtuoso o funzionale.

Vi siete chiesti come è possibile aumentare il coinvolgimento delle persone – lavoratori stanchi, stressati e impauriti – che saremo obbligati a informare e formare nei prossimi mesi?
Se non l’avete fatto, forse questo è un momento magico per farlo. Le risposte ci sono, basta guardarsi intorno e avere un po’ di coraggio.

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Roberto Locatelli

Roberto è il responsabile dei progetti di formazione di People Group. Formatore, appassionato di neuroscienze e Guida Canyon, è sempre alla ricerca di nuovi modi per conoscere e interpretare la realtà che ci circonda.