Per parlare di produttività o di successo, ho sempre cercato di prendere spunto da chi il successo l’ha raggiunto e mantenuto per anni, a dispetto di qualsiasi previsione iniziale. In questo caso lo spunto è un articolo su René Redzepi, uno degli chef più famosi e rispettati al mondo, apparso su un magazine specializzato.
Efficienza e Produttività
Ho avuto l’opportunità di conoscere René qualche anno fa, grazie al fatto che la mia compagna lavorava presso il suo ristorante, il Noma di Copenhagen. Ciò mi ha permesso di intrufolarmi con discrezione nel backstage del progetto che aveva appena rivoluzionato il modo di intendere la cucina di buona parte del nord Europa. Il ristorante Noma – parola composta dai due termini danesi “nordisk” e “mad”, ossia nordico e cibo – è stato giudicato per ben quattro volte il miglior ristorante del mondo secondo la classifica The World’s 50 Best Restaurants della rivista Restaurant, nel 2010, nel 2011, nel 2012 e nel 2014.
Il motivo di questa rivoluzione sta tutto nella capacità visionaria di una persona che non si è accontentata di svolgere al meglio il suo lavoro, ma che è alla continua ricerca del valore e del significato più intimo di ciò in cui crede.
Occupandomi da anni di formazione esperienziale, sono sempre rimasto piuttosto sconcertato dall’utilizzo delle cooking experience in ambito formativo. Non per l’esperienza in sé – l’organizzazione di una brigata di cucina è un microcosmo molto complesso e per questo può rappresentare una metafora molto intrigante – quanto per l’erronea identificazione con un modello che non ha nulla a che vedere con efficienza e produttività.
L’ambiente cucina che ci si trova di fronte nella maggior parte dei casi, anche in ristoranti di alto livello, è immerso in un’atmosfera di continua tensione e pieno di persone stressate e sotto pressione con orari e ritmi che farebbero impallidire i lavoratori delle catene di montaggio dei tempi di Marx.
Non è tanto un problema di efficacia. Le cose, alla fine, vengono fatte: l’interpretazione del parossismo dello chef che fa tendere tutti verso una fugace perfezione di un piatto, la necessità di rispettare tempi e incastri della produzione, l’ossessione del bilanciamento ideale delle materie prime, può dare l’impressione di un meccanismo splendido e rassicurante. Nel dietro le quinte, tuttavia, il prezzo da pagare in termini organizzativi e umani è particolarmente oneroso.
Nell’immaginario romantico aziendale, invece, si prende spesso il sistema cucina come modello funzionale di business e come schema di riferimento per rappresentare un ideale organizzativo cui tendere. Purtroppo, nulla di più lontano dalla realtà: se i team di lavoro cominciassero a comportarsi come una tipica brigata di cucina, molte delle aziende collasserebbero su se stesse.
Perché non cambiano, allora?
Provate a chiederlo a chi lavora in cucina ad un certo livello. La risposta sarà sempre la stessa:
In cucina funziona così
Proprio per questo, questa iniziativa di Redzepi ha, ancora una volta, qualcosa di rivoluzionario e visionario, soprattutto per ciò che lui rappresenta. In un mondo dove si lavora a testa bassa e senza orari, lui ha pensato bene di sovvertire lo status quo: da domani chi lavora al Noma avrà 3 mesi di ferie pagate. In realtà, questa proposta non nasce dal nulla.
Già Esben Holmboe in Norvegia nel 2017 ha ridotto l’apertura del ristorante a tre giorni alla settimana con buoni risultati in termini di fatturato e soddisfazione dei dipendenti (chi opera nelle risorse umane può trovare molti spunti interessanti nello speech di Holmboe).
Lo stesso Redzepi nel progetto della nuova struttura del Noma, aveva progettato un’area fitness esclusivamente per i dipendenti.
Ciò che mi ha colpito in questa nuova iniziativa, tuttavia, è la sua persistenza nel mettersi in discussione e rischiare, proponendo qualcosa che non era mai stato fatto da nessuno e sapendo che ogni cosa che fa avrà tante critiche, ma anche un altissimo valore simbolico.
Aumento della produttività in azienda
Sempre più aziende stanno esplorando sistemi per ridare umanità e qualità di vita alle persone che operano all’interno dell’organizzazione. Vedi l’esempio di Microsoft Giappone con il test sulla settimana di 4 giorni. Chi riesce a farlo in maniera strutturata rileva un incremento della produttività che può sembrare contro-intuitivo. In realtà, la spiegazione è semplice. Se io opero in una organizzazione aziendale che sento vicina, che è attenta ai miei bisogni soprattutto nei momenti di difficoltà, che mi gratifica per i piccoli successi giornalieri e che mi invita a festeggiare per i grandi traguardi raggiunti, questo avrà – sul lungo termine – un effetto devastante che va ben oltre l’aumento di produttività. Gli effetti più evidenti saranno l’identificazione delle persone con i valori dell’organizzazione, l’incremento della collaborazione inter-aziendale e della disponibilità verso gli altri, la diminuzione dei conflitti e l’orgoglio di far parte di un gruppo unico.
Ci sarà chi se ne approfitta?
Sempre; ed è assolutamente fisiologico. Tuttavia, nel tempo, in un ambiente del genere ci sarà una progressiva estinzione dei “furbetti”, per lasciare spazio a chi si vuole rimboccare le maniche e vede nella sua azienda un’opportunità di crescita e realizzazione personale.
Per arrivare a questo, però, ci vuole coraggio. E il coraggio non si compra da un fornitore.